Idee per la ripresa di Torino e del Piemonte

L’emergenza sanitaria coglie la nostra Regione e il suo capoluogo in una fase difficile della loro storia. I profondi cambiamenti della struttura produttiva, e in particolare di quella industriale, pongono il problema di individuare una nuova prospettiva, che richiede idee e risorse straordinarie. Molti ne stanno discutendo, nelle sedi accademiche, dell’informazione, delle forze sociali e della cultura. Anche la Fondazione Carlo Donat-Cattin avvia un forum di discussione sui temi del futuro economico e sociale di Torino e del Piemonte. Per cominciare abbiamo posto tre domande ad economisti, imprenditori, amministratori e dirigenti politici e sindacali. Pubblicheremo le loro risposte e proseguiremo allargando la rassegna di opinioni con interviste, articoli e segnalazioni.

Alessandro Svaluto Ferro

Direttore Ufficio Pastorale Sociale e del Lavoro della Diocesi di Torino

 

Domande ad Alessandro Svaluto Ferro

Quali emergenze esistono in Piemonte e quali i settori che richiedono interventi rapidi e straordinari?
Dopo la conclusione della fase emergenziale della pandemia, si sente spesso dire che nulla sarà come prima. In parte è vero. Spetta a tutti, istituzioni pubbliche, privato-sociale, associazioni, organizzazioni del terzo settore e think tank capire come saremo. Non sarà un virus a cambiarci se non siamo noi a desiderare per primi un profondo cambiamento e renderlo di conseguenza operativo. E soprattutto le trasformazioni e le transizioni vanno governate e accompagnate, altrimenti per alcuni saranno una benedizione e per altri saranno una disgrazia.

Ritengo che dal punto di vista economico vedremo acutizzarsi alcuni dei fenomeni e dei trend già presenti prima dello scatenarsi dell’emergenza sanitaria.
Vedremo infatti un effetto polarizzazione svilupparsi all’interno del sistema economico e del mercato del lavoro. Provo a spiegarmi. Quelle imprese (anche micro e piccole) che erano inserite in filiere produttive globali, altamente innovative (non solo tecnologicamente parlando) potranno ragionevolmente immaginare di ripartire, nonostante le difficoltà di liquidità e credito. Le altre viceversa corrono il rischio concreto di sparire.
Pertanto un primo campo importante d’intervento è quello di sostenere le imprese: attraverso la liquidità necessaria per pagare spese, costi fissi e fornitori, ma sarà fondamentale accompagnarle nei processi di rivisitazione organizzativa per poter essere sempre più aperte all’innovazione, alla responsabilità sociale e alla connessione con il territorio in cui sono insediate.
Senza impresa infatti non vi è lavoro, sarà importante quindi ridurre al minimo l’impatto negativo che avrà questa crisi nata in ambito sanitario, ma che si sta già manifestando per la sua natura multiforme: sociale, economica e se vogliamo antropologica.

Abbiamo però una grande occasione di fronte a noi: rimettere in discussione il nostro paradigma socio-economico che, come spesso denunciato dal magistero di Papa Francesco, si basa sulla cultura dello scarto e dell’abuso delle risorse a nostra disposizione. Le crisi infatti portano con sé sempre elementi di pericolo, come stiamo sperimentando sulla nostra pelle (per quanto riguarda la salute nostra e dei nostri cari), e che dobbiamo prontamente superare. Ma insieme ai pericoli si celano le opportunità: abbiamo la grande occasione di rendere la nostra economia più civile, a misura d’ogni uomo e donna, rispettosa dell’ambiente che viviamo e attenti a non erodere le risorse a disposizione delle giovani generazioni. Varrebbe la pena riprender seriamente in mano l’enciclica Laudato Si’ di Papa Francesco e rendere operativa quell’ecologia integrale che viene proposta come paradigma nuovo per abitare questo nostro tempo.
Si tratta di una grande sfida culturale che dovrebbe stare a monte di ogni tipo d’intervento che si inserirà nella fase della ricostruzione.

In terza battuta un’attenzione specifica dovrà essere data al lavoro. Anche qui potremmo rendere operative molte delle trasformazioni che erano già ampiamente visibili nel pre-pandemia e renderle un’opportunità per tutti. Infatti l’effetto polarizzazione, la grande divisione tra insider e outsider, rischia di amplificarsi ulteriormente se non accompagniamo seriamente e concretamente i cambiamenti che si stanno già facendo strada. Sarà pertanto importante non lasciare indietro nessuno, prestare molta attenzione alla grande moltitudine di disoccupati che in una prima lunga fase si verranno a creare. Per tale motivo dovremmo nuovamente cambiare i nostri approcci e andare sempre più verso misure meno standardizzate possibili, mescolando politiche per il lavoro, con quelle per il welfare e per l’istruzione. Lavoro, educazione e inclusione sociale dovrebbero essere campi d’intervento che s’intrecciano per garantire la piena autonomia delle persone.
Per Torino e Piemonte credo si possano immaginare tre campi d’intervento dal punto di vista degli investimenti e delle filiere economiche: la manifattura digitale e di qualità (nostra eccellenza da sempre, con la presenza di comparti industriali competitivi); un’economia dei servizi da potenziare e rivedere (i ritardi evidenziati dai diversi studi in materia sono conosciuti), al cui interno vi è il lavoro di cura.
In ultima battura mi permetto ancora un’osservazione metodologica.
Bisogna prestare attenzione alle narrazioni che propongono pericolose semplificazioni, contrapponendo pubblico e privato. Oggi abbiamo sempre più bisogno di concertare e integrare interventi pubblici e privati per far ripartire la nostra società: governance miste sono sempre più necessarie e possibili nostalgie (di cui spesso sentiamo parlare) sono dannose.
Altrettanto rischiosa è la frattura tra centro e periferia: interventi uniformi e direzionati dall’alto verso il basso sono controproducenti. La catena di comando, come giustamente richiamato, deve essere chiara e trasparente, ma non presume il neo-centralismo: ripartire dalle risorse locali è pertanto un obbligo.

Come recuperare finanziamenti per questi settori da governo, Regione e banche?
Mi riaggancio alle osservazioni metodologiche con cui ho concluso il primo interrogativo. Gli interventi governativi nazionali, per quanto importanti e straordinari, non potranno mai coprire il ventaglio di bisogni e richieste di cittadini e imprese. Il decreto liquidità che desidera giustamente sostenere le imprese è solo una parte della risoluzione del problema.
Oltre all’intervento pubblico statale credo che bisognerà attivare una serie di canali: da quello strategico europeo (finanziamenti europei che spesso rimangono inattivi) al livello regionale.
Ma dobbiamo essere consapevoli di un secondo elemento. Non correre il rischio di addossare al pubblico la responsabilità di far ripartire il Paese e l’economia. Il pubblico deve sostenere l’iniziativa privata in campo economico, ma questa deve essere sostenuta anche da finanziamenti privati. Credo infatti che il settore del credito possa riscoprire il suo primo e originario compito (oltre quello di permettere il risparmio dei correntisti): finanziare le attività produttive. Le banche possono svolgere quindi un ruolo essenziale in questa delicatissima fase per il nostro sistema nazionale e locale.
E sarà decisiva anche la dinamica tempo: rapidità perché le imprese oggi vanno letteralmente salvate, snellendo la solita troppa burocrazia che abita la nostra organizzazione amministrativa.

Interventi per le fasce più deboli della popolazione come per i, giovani che non trovano lavoro?
La situazione delle fasce deboli già presenti nelle nostre realtà prima dello scoppio della pandemia si farà ancor più drammatica. Ma altrettanto pericoloso sarà l’allargarsi di questa fascia, che rischia di prendere con sé parte del cosiddetto ceto medio, messo già alla dura prova da una crisi decennale da cui, almeno l’Italia, non è mai realmente e totalmente uscita. Per tale ragione prima citavo le politiche per il welfare: strumenti innovativi a guida pubblico-privata che permettano alle persone di non perdere il terreno dell’inclusione sociale. Interventi che mirino da un lato a promuovere la strategia dell’investimento sociale e dall’altro quella della protezione. Le politiche per lo sviluppo e il rilancio dell’economia sono quindi da connettere fortemente con quelle sociali.
I giovani, anch’essi, non godevano di grande attenzione da parte dei legislatori. Anzi nel corso degli ultimi decenni, una serie di provvedimenti (anche in buona fede) hanno visto erodere le possibilità di inclusione (soprattutto lavorativa) dei giovani stessi.
Il dramma che inoltre stanno vivendo in questa fase d’istruzione emergenziale (con la transizione rapida e immediata alle lezioni a distanza e con il pericolo concreto di un ritorno in presenza solo a settembre) toccherà le loro opportunità future perché, oltre gli annunci propagandistici, dobbiamo dirci la verità: nonostante l’impegno profuso dalla stragrande maggioranza dei docenti, il modificarsi così drastico della didattica andrà a discapito di queste generazioni. La promozione dei giovani attraverso il fattore educativo sarà quindi un’attenzione centrale da non perdere di vista. Solo così si potrà pensare di non rubare futuro e opportunità alle giovani generazioni, tema ancora troppo sottovalutato.

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