Idee per la ripresa di Torino e del Piemonte

L’emergenza sanitaria coglie la nostra Regione e il suo capoluogo in una fase difficile della loro storia. I profondi cambiamenti della struttura produttiva, e in particolare di quella industriale, pongono il problema di individuare una nuova prospettiva, che richiede idee e risorse straordinarie. Molti ne stanno discutendo, nelle sedi accademiche, dell’informazione, delle forze sociali e della cultura. Anche la Fondazione Carlo Donat-Cattin avvia un forum di discussione sui temi del futuro economico e sociale di Torino e del Piemonte. Per cominciare abbiamo posto tre domande ad economisti, imprenditori, amministratori e dirigenti politici e sindacali. Pubblicheremo le loro risposte e proseguiremo allargando la rassegna di opinioni con interviste, articoli e segnalazioni.

Giovanni Zanetti

Professore emerito,
già ordinario di Economia politica nell’Università di Torino

Domande a Giovanni Zanetti

Quali emergenze investono il Piemonte e quali settori richiedono interventi rapidi e straordinari?
Le emergenze che interessano il Piemonte, non diversamente dalle altre regioni riguardano ovviamente le attività produttive, soprattutto di servizi, che interessano il vivere quotidiano. Sono molte le piccole aziende toccate dalla crisi attuale collegata alle decisioni volte ad arrestare il diffondersi del virus; soprattutto verso queste situazioni sembrano d’altra parte rivolgersi le iniziative del Governo con i decreti recenti.
Ad una riflessione un po’ più approfondita occorre tuttavia rendersi conto che, buona parte dell’attività produttiva piemontese resta collegata all’automotive, soprattutto nel quadro delle forniture meccaniche integrate da elettronica d’importazione, grazie alle quali vengono completate le produzioni di modelli di imprese straniere spesso di grande prestigio. In questa direzione sono stati raggiunti livelli qualitativi assai elevati e ampi volumi di fatturato con rilevanti opportunità occupazionali. I cambiamenti introdotti per la pandemia hanno comportato di fatto l’interruzione di parte di queste attività, con il rischio serio di una loro perdita nella prospettiva di un’auspicabile futura ripresa. Di fatto, sono situazioni vissute da piccole e medie imprese che, dopo un mese di fermo, potrebbero venirsi a trovare sull’orlo del baratro. La loro attività è, tra l’altro, fondata sulla gestione del debito e quindi questa fermata può aver provocato la mancata reintegrazione nei termini previsti della finanza necessaria alla continuità dell’attività con la conseguente impossibilità di acquistare materie prime e componenti. Non va infatti dimenticato che le produzioni in questione sono parte di filiere produttive, nelle quali si traduce la metamorfosi delle ex grandi imprese; laddove l’integrazione dei vari momenti costruttivi subisce un’interruzione, è quindi l’intero processo a saltare con perdita di commesse e potenzialità di ripartenza.
Un aspetto particolare riguarda i trasporti, non assicurati da e verso l’estero a causa dei blocchi delle dogane e dell’effetto ad elastico tra i picchi di contagio nei vari paesi. Da questo effetto potrebbe derivare un ritardo nell’assorbimento delle merci già spedite e delle relative fatturazioni aggravando ulteriormente l’impatto economico. Le possibilità di fornitura possono venirsi al limite a trovare nella necessità di ricorrere a fonti anomale subendo aumenti di prezzo sconsiderati, non sempre sono sostenibili superiori an che al 60% del costo di prodotto, con conseguente erosione dei margini di redditività.
La considerazione non è di poco momento in quanto, nella desiderabile ipotesi di un riavvio dell’attività produttiva, potrebbe verificarsi un eccesso di domanda rispetto alle capacità produttive esistenti soprattutto intesa come forza lavoro disponibile, con la conseguente esigenza di dover ipotizzare una ripresa in termini ridotti (non più del 30%). Ne deriverebbe la necessità di sopperire con manodopera interinale con rischi evidenti in termini di efficienza e di crescita dell’incidenza dei costi fissi.

Come recuperare finanziamenti da governo, regione, banche e privati?
In questa prospettiva, si delinea la necessità di finanziamenti, possibilmente con un reintegro dilazionato degli stessi per poter far ripartire gli approvvigionamenti.
Anche i termini di pagamento vanno ridiscussi; dilazioni a 90 o a 120 giorni sarebbero insufficienti e non permetterebbero ai piccoli imprenditori di sopravvivere.
In prima approssimazione gli interventi maturati in questi giorni a livello governativo diretti a finanziare imprese a vari livelli dimensionali in presenza di sveltimenti burocratici e avvalendosi di garanzie SACE vanno su una strada condivisibile e sostanzialmente corretta. Si può affermare che le risorse finanziarie attivate a livello nazionale sembrano interpretare correttamente le esigenze sorte nel recente periodo, soprattutto (come s’è ricordato) con riferimento alle piccole -medie imprese. Osservazione questa, convincente quando si prenda atto, come di fatto è avvenuto, che piccoli fornitori sono attualmente in grado di bloccare industrie internazionali allocate non solo in Europa ma in tutto il mondo.
Il credito deve essere disponibile immediatamente e il recupero dello stesso deve essere dilazionato e a condizioni agevolate a seconda della posizione finanziaria delle aziende.
Spostando l’ottica dalle dimensioni minori per considerare le problematiche che al di là delle nostra regione investono il Paese bisognoso di significativi interventi a livello infrastrutturale, s’avverte l’esigenza di una condivisione a livello più ampio, ovvero europeo sia attivando fondi esistenti ma destinati diversamente, sia dando spazio ad iniziative di raccolta fondi su vasta scala: la scelta di approvare i cosiddetti “corona bonds” significa dare dimostrazione di consapevolezza che, nel sistema europeo, quanto può essere di immediato ristoro per una regione è al tempo stesso funzionale per l’operatività di un apparato assai complesso nel quale quella regione forma sistema con altre diversamente specializzate, ma in ogni caso funzionali per la riuscita di un processo complessivo.
Occorre però riflettere sul fatto che l’impostazione attuale, volta a fornire liquidità mancante al sistema, resta comunque fondata sull’indebitamento per entità estremamente consistenti per il quale non è chiara quale possa essere la via corretta per uscirne, senza cadere in situazioni insostenibili sul piano internazionale

Come dare prospettive e formare i giovani al lavoro superata l’emergenza?
La risposta non è semplice e trascende il problema contingente collegato alla pandemia. Da un lato il profilarsi di una ripresa è destinato a generare posti di lavoro sia pure con ritmi di crescita e profili professionali non semplici da definire a priori. Dall’altro occorre rendersi conto che le disposizioni maturate quali l’eliminazione affrettata dei vouchers e la scelta volta a generare posti di lavoro a tempo indeterminato, comunque e senza rendersi conto delle problematiche qualitative e quantitative ad essa connesse, si è risolta in molti casi nell’esatto contrario.
In realtà tutta la problematica va rivista e affrontata da un punto di vista strutturale ed è destinata ad investire il rapporto con la scuola e con la stessa formazione universitaria. In particolare le direzioni nelle quali deve operare la formazione dei giovani devono essere coerenti con le esigenze del mondo del lavoro. Il collegamento con le Università può essere strutturato e mirato attraverso progetti mirati (tipo Industria 4.0) a livello nazionale ed Europeo. Lo scambio studio-lavoro deve essere fondato su un bacino di disponibilità di risorse in grado di abbracciare tutto l’anno solare (al momento attuale segue il ritmo degli orari scolastici o le fasi diverse dell’anno accademico delle Università). In questa prospettiva si possono intravvedere buona opportunità tramite la promozione di forme di tutorship e di integrazione di tra forme di lavoro temporaneo tra aziende e Università con mutuo beneficio. Le Aziende possono farsi carico dei costi permettendo un ingresso di risorse suscettibili di essere integrate a tutti gli effetti dopo il periodo di collaborazione, quando sussistano le condizioni per farlo, mentre le Università mettono a disposizione le risorse umane e le attrezzature a supporto per la ricerca e i progetti identificati come meritevoli di intervento. In merito devono essere meglio pensate le condizioni nelle quali il lavoro può esprimersi: ad esempio le assunzioni dovrebbero essere possibili con contratto agevolato tipo Apprendistato o Formazione Lavoro per almeno un anno. In questa direzione, può essere utile un approfondimento in termini di diritto del lavoro.

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