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Giorgio Aimetti

Carlo Donat-Cattin
La vita e le idee di un democristiano scomodo

Ed. Rubbettino, Soveria Mannelli (CZ) 2021
540 pp.
Ean 9788849868777

Donat-Cattin ministro e uomo di Stato

“Sottosegretario alle Partecipazioni statali per quasi cinque anni, quattro anni e sette mesi ministro del Lavoro (solo Maroni fino al momento della pubblicazione di questo libro lo avrebbe superato, tra i responsabili di quel settore, nei decenni della Repubblica), otto mesi ministro per gli interventi nel Mezzogiorno, quattro anni ministro dell’Industria (e in questo caso solo Emilio Colombo lo avrebbe superato e di quattro mesi), tre anni alla Sanità. Questo, l’elenco degli incarichi di governo ricoperti da Carlo Donat-Cattin. In genere con molti riconoscimenti.

[…]

L’approvazione della Legge 300 e l’adozione delle modifiche sul testo base predisposto da Brodolini, si devono alla sua abilità politica nell’affrontare il dibattito parlamentare. I piani di riforma della sanità saranno la base del sistema da quel momento in poi.

Al ministero per gli Interventi Straordinari nel Mezzogiorno era restato per pochi mesi: quanti erano bastati per scatenare un duro contenzioso sul progetto del centro siderurgico di Gioia Tauro e non solo. La sua previsione era che l’impianto rischiava di essere una cattedrale nel deserto, non utile a creare occupazione.

Era entrato in contrasto con il socialista più potente del luogo, Giacomo Mancini, ma aveva suscitato una polemica rovente anche con i democristiani locali (dopo le proteste di Reggio Calabria di poco tempo prima, non dimentichiamo che il nuovo impianto siderurgico era stato immaginato come uno strumento per portare lavoro nella regione più povera d’Italia). […] Poi il centro siderurgico non si era fatto. Il ministro a suo tempo aveva proposto alternative: un’industrializzazione sulla base di medie e piccole imprese disposte a spostarsi in Calabria. […]

Quando aveva lasciato l’incarico arrivavano altri ministri, anche calabresi. Nessuno avrebbe ripreso in mano la scommessa del centro siderurgico, ma intanto le alternative “più leggere” avrebbero trovato collocazione altrove. […]

Gian Maria Gros-Pietro, presidente del Consiglio di amministrazione di Intesa Sanpaolo, che era stato uno dei giovani collaboratori del ministro dell’Industria ha detto di recente: «in quattro anni, tra novembre del 1974 e il novembre del 1978, Donat-Cattin ha cambiato la politica industriale italiana […].  Era una politica industriale fatta di norme di tipo vincolistico e prescrittivo. Egli in parte le modificò e in parte le cancellò, ma soprattutto introdusse una visione nuova, programmatica. […] lo strumento che principalmente riassume la sua azione, fu la legge 675 del 12 agosto del 1977».

[Diceva un altro collaboratore di Donat-Cattin, Giovanni Nasi] «La legge 675 oggi sarebbe considerata un attentato al liberismo. Disciplinava i finanziamenti vincolandoli alle direttive del governo. Un meccanismo che, in clima d’esaltazione del mercato sarebbe impopolare, ma che avrebbe funzionato da regolatore degli interventi dello Stato». […] Un’opinione confermata dal parere che Carlo Donat-Cattin dava su quel che essa prevedeva. Ancora nel 1977, parlando di quel provvedimento al convegno di Saint-Vincent spiegava: «Con la legge sulla ristrutturazione noi introduciamo elementi di socialismo nel sistema economico. Ne abbiamo già introdotti molti nel passato e non per obbligo fattoci da altri. Quale partito cristiano sociale siamo nati senza dubbio in antitesi con i movimenti politici socialisti, ma anche con quelli liberali». Nel discorso poi Donat-Cattin spiegava quelli che a suo avviso erano i “limiti invalicabili” all’adozione di altri elementi di socialismo: «[sono] i limiti del sostanziale funzionamento del mercato nel quale, pur con i condizionamenti della programmazione, si seleziona l’imprenditore ed ha corso la reale libertà di iniziativa economica, si seleziona la reale efficienza della produzione ed ha corso la reale libertà di conduzione dell’impresa libera, dell’impresa nata e condotta con libera e privata iniziativa». […]

Il passaggio all’Industria (un ministero considerato di serie A) aveva segnato per Donat-Cattin il ritorno alla mediazione dei contratti. Proprio all’Industria si concluderanno trattative importanti come quelle del 1974 a testimonianza che, più dell’incarico politico che rivestiva, contava la sua personalità. Durante la sua permanenza in quell’incarico l’Italia si sarebbe dotata di un Piano energetico nazionale, mai tentato in precedenza. Il coordinamento era stato affidato a Giuseppe Ammassari. Erano gli anni in cui il paese, per la prima volta, faceva i conti con la carenza di fonti fossili, con la difficoltà di trovarne sul mercato e con l’insufficienza di fonti rinnovabili. [Nel progetto si puntava anche su un certo numero di centrali nucleari]. Il nucleare, statistiche alla mano, appariva allora il modo di produrre energia più sicuro, ma, ciò che importava di più, sembrava potesse dare all’approvvigionamento dell’Italia alternative che in quei giorni mancavano. […]

Si è già fatto rilevare quanto la crisi petrolifera abbia inciso sull’economia italiana provocando l’aumento del costo della vita e la crisi delle finanze del paese. Oggi, lo ricorda Ammassari, c’è chi, dati alla mano, imputa al blocco di quel piano energetico almeno un terzo, se non più, di tutto il debito pubblico nazionale. […]

Donat-Cattin, che quel piano aveva promosso e sostenuto, dopo l’incidente di Chernobyl sarebbe rimasto perplesso, dubbioso sulle assicurazioni date dagli esperti intorno a quella scelta. Lui, non fisico e quindi incompetente del settore, raccontava quanto i maggiori scienziati del paese gli avevano dato per certo: «Dicevano: un incidente grave possibile ogni 1000 anni nel mondo. In realtà con Three Mile Island e Chernobyl siamo a due incidenti pesanti in 8 anni». Poi sarebbe avvenuto anche quello di Fukushima.

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