Senso del dovere anche a costo dell’impopolarità

Nella circostanza le scelte di Donat-Cattin si trovarono al centro di reazioni particolarmente vivaci e di interpretazioni controverse, che ancora attendono più documentati chiarimenti. Le sue valutazioni lo portarono a contrastare la linea, giudicata debole e precaria, di quanti cercavano un raccordo con la componente comunista che, sebbene rappresentata in Italia da un partito ancora attestato su posizioni di forza, andava evidenziando sul piano internazionale i primi sintomi di una crisi profonda. In effetti il giudizio di Donat-Cattin sulla questione comunista rimase decisamente critico, in netto contrasto sul terreno delle scelte istituzionali, economiche e di politica estera. Di tale giudizio rivendicò peraltro la natura rigorosamente politica, priva di preconcetti, pregiudiziali o chiusure assolute, come di fatto attestarono, specie in alcuni momenti della sua militanza, i punti di incontro con il mondo comunista. Nel partito, inoltre, Donat-Cattin mostrò convinta attenzione all’intreccio tra la dimensione politica e quella culturale. Un’iniziativa come la rivista “Settegiorni” (1967 – 1974) segnò una stagione di vivace confronto e crescita della cultura cattolico-democratica e, nello sforzo di contribuire – sono ancora espressioni di Donat-Cattin – “alla soluzione dei problemi della società in armonia con i tempi, con le forze vive e i giovani del paese”, liberò nuove voci nel dibattito politico del mondo cattolico. La stessa attenzione che ispirò anche, sempre in quegli anni, la breve ma intensa esperienza di un lavoro culturale progettato nell’ACPOL con gli aclisti di Livio Labor e alcune componenti socialiste.

In anni successivi, a partire dal 1983 e ancora in omaggio a Moro che aveva coniato l’espressione, ideò la sua ultima rivista, “Terzafase”, a sua volta aperta ad una pluralità di voci e di orientamenti. Funzione analoga cercarono di svolgere anche i convegni annuali di “Forze nuove”, in particolare quelli di Saint -Vincent, che, superando i confini di circoscritta iniziativa di corrente, offrirono momenti di riflessione collettiva e spunti per vari sviluppi della politica italiana, ponendosi altresì, ad una loro rilettura attuale, come utile strumento per ripercorrere le tappe più significative del pensiero politico di Donat-Cattin Altrettanto intensa, infine, la sua esperienza di governo. Dopo i primi impegni come sottosegretario alle partecipazioni statali nei tre dicasteri guidati da Moro tra il 1963 e il 1968, si impose all’attenzione del paese come ministro del lavoro (1969 – 1972), soprattutto nella combattuta stagione sindacale del ’69.

Con l’approvazione dello Statuto dei lavoratori e la gestione dell’autunno caldo, un ministero “di servizio” divenne interlocutore privilegiato di ministeri finanziari nella definizione e nella gestione della politica economico-sociale. Ministro per gli interventi straordinari nel Mezzogiorno nel IV Governo Rumor (luglio 1973 – marzo 1974), si schierò contro le “cattedrali nel deserto”, richiamando, accanto al valore della solidarietà, l’opportunità di scelte politiche di riequilibrio socio-economico del paese. Quale responsabile del Ministero dell’industria nel IV Governo Moro e nel III e IV Governo Andreotti (novembre 1974 – novembre 1978) sviluppò un progetto compiuto di politica industriale, attivando tra l’altro un primo programma energetico e sostenendo la necessità dell’innovazione tecnologica. Ministro della sanità in vari governi (agosto 1986 – maggio 1989), si impegnò per la creazione di un sistema sanitario equo ed ebbe modo di manifestare, suscitando contrastanti reazioni, una forte tensione etico-sociale, specie in occasione di alcuni interventi in difesa del diritto alla vita e sul problema dell’AIDS. L’ultimo impegno di governo lo vide ancora (dal luglio 1989) ministro del lavoro nel VI Governo Andreotti e, accanto alla revisione del sistema pensionistico, anche in questa circostanza si trovò coinvolto, come vent’anni prima, sul terreno di difficili vertenze contrattuali, portate a soluzione con decisive proposte di mediazione fra le parti.

Alla guida del Ministero del lavoro intervenne anche presso la Comunità europea con alcuni significativi documenti, specie in relazione alle politiche dell’impiego ed ai problemi posti dalle nuove trasformazioni demografiche e sociali. I suoi ultimi impegni governativi così come le ultime riflessioni sul ruolo della DC offrirono ancora un’immagine di Donat-Cattin deciso nel denunciare, da un lato, l’immobilismo del suo partito e in generale della politica italiana; nel ribadire, dall’altro, le linee portanti del suo pensiero e della sua azione: sforzo di porre la questione sociale al centro di ogni indirizzo politico, conciliazione di solidarietà e libertà, fedeltà al metodo democratico e ai valori dello Stato di diritto.

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