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Giorgio Aimetti

Carlo Donat-Cattin
La vita e le idee di un democristiano scomodo

Ed. Rubbettino, Soveria Mannelli (CZ) 2021
540 pp.
Ean 9788849868777


Carlo Donat-Cattin e il mondo cattolico.
Un cristiano scomodo

“Maritainiano di formazione, con letture attente e meditate di Mounier, con ben impresso il ricordo della vita di don Mazzolari, e la conoscenza degli scrittori cattolici francesi del Novecento (il pane per lo spirito dei credenti italiani ai tempi della dittatura fascista), Donat-Cattin era di indole tale da prediligere l’impegno sociale alla vita contemplativa.

Diceva di lui l’arcivescovo di Torino, il cardinal Saldarini: «Vero uomo anche cristianamente trainante, capace di coraggio nel portare avanti i suoi convincimenti, con assoluta franchezza e onestà, disposto anche alla impopolarità, risultò un cristiano scomodo. Ma c’è da chiedersi se sia possibile in questo nostro mondo chiamarsi veri cristiani senza essere scomodi». […]

Il suo impegno politico lo aveva sovente portato a dissentire dall’atteggiamento di molti esponenti del clero e del laicato cattolico più impegnato. Le vicende segnate dalle differenti posizioni tra arcidiocesi torinese e Cisl nei riguardi della Fiat, negli anni del dopoguerra spiegano molto del suo atteggiamento. […]

Nei tempi che avevano preceduto il Concilio Vaticano II le difficoltà dei cattolici che militavano nella Dc erano state molte. Da Oltretevere giungevano messaggi che avevano il sapore di ordini. La conquista dell’autonomia in politica era stata una battaglia difficile.

Per i democristiani di sinistra le cose erano state anche più problematiche.

Risale al 1953 l’esclusione dalla lista per la Camera dei Deputati di Carlo Donat-Cattin che era stato messo in lista dal comitato provinciale di Torino: lui riteneva che insieme a Gonella e Rapelli a chiederne l’esclusione fosse stato il presidente dell’AC, Gedda.

Erano anni in cui la «Civiltà Cattolica» criticava le idee di Maritain con una campagna culminata in un poderoso articolo di Padre Messineo. E di Donat-Cattin si sapeva dell’attenzione che riservava al filosofo neotomista. Favorevole all’ingresso dei socialisti nell’area di governo, egli giudicava quel passaggio non come una “scelta ponte” per il recupero dell’alleanza con i comunisti, ma come una necessità per tutelare i diritti dei lavoratori ai quali occorrevano altri sostegni oltre a quello dei cattolici per vincere la sfida del conflitto sociale. Quell’opinione lo spingeva a sollecitare l’alleanza con le componenti socialiste nel mondo del lavoro che potevano essere uno strumento per far rinascere momenti di incontro anche con la Cgil nel suo complesso.

Un progetto di quel genere sollevava critiche e opposizioni che venivano interpretate con puntualità dalla rivista dei gesuiti il cui direttore del tempo, Padre Calogero Gliozzo, censurava i fautori dell’apertura a sinistra perché avevano «alimentato da anni la speranza di recuperare le forze socialiste, sganciandole definitivamente dal comunismo […]. E non si sono accorti dell’inutilità di tali speranze». Poco dopo, ancora Padre Messineo ribadiva l’inconciliabilità tra socialisti e cattolici: «I nemici sul piano morale e religioso non possono essere sinceri amici sul piano sociale e politico […]. L’illusione di poter separare impunemente l’ideologia dalla pratica è destinata a dileguarsi dinanzi l’esperienza». Negli anni che andavano tra il 1958 e il 1963 non erano parole insignificanti. […]

La Fondazione [Donat-Cattin] conserva la minuta manoscritta di una lettera. La data è quella del 24 gennaio 1963. Non è inviata a Pio XII, un pontefice che aveva idee “ferme” sui rapporti dei cattolici con altre forze politiche, ma a Giovanni XXIII, il Papa del Concilio Ecumenico e della Chiesa aperta al nuovo. Datata da Roma, la lettera dice: «Beatissimo Padre, io, Carlo Donat-Cattin, deputato al Parlamento per la circoscrizione di Torino-Novara-Vercelli, sono venuto a sapere nello scorso agosto che, per una disposizione comunicata dal Santo Uffizio, non dovevo essere invitato a parlare in riunioni delle Acli e di organizzazioni cattoliche. Ho seguito il consiglio dell’assistente centrale delle Acli, monsignor Santo Quadri, ed ho atteso che mi venissero chiariti i motivi della disposizione al fine di potermi eventualmente correggere, ma fino ad oggi nessun chiarimento ho potuto conoscere, avendo anche parlato della cosa col vescovo coadiutore di Torino, S.E. mons. Tinivella. Credo che nelle mie intenzioni, svolgendo azione politica e sindacale, io abbia agito in modo da non venir meno agli insegnamenti di dottrina e di morale che dalla Chiesa ho ricevuto ed ai quali intendo attenermi.

«Chiedo pertanto umilmente a Vostra Santità di volere intervenire perché mi siano esposti i motivi della disposizione e perché possa riacquistare la necessaria serenità nello svolgimento della mia azione.

«Con profonda venerazione ed affetto, prostrato al bacio del Sacro Piede, chiedo la apostolica Benedizione professandomi di Vostra Santità devotissimo figlio». […]

D’altra parte, cambiando i tempi, cambiavano anche i redattori della «Civiltà cattolica». Scriveva nel 1979 Padre Sorge: «Per una serie di cause diverse, che qui non è il caso di analizzare, e che, ad ogni modo vanno giudicate nel contesto storico e culturale nel quale si sono verificate, in Italia si è giunti a identificare professione religiosa e appartenenza o sostegno alla Dc […]. Di questa situazione hanno sofferto sia la Chiesa italiana, sia la Dc. Così abbiamo assistito al progressivo allontanamento dalla pratica religiosa di intere masse popolari, soprattutto di lavoratori, per la ragione che non se la sentivano di accettare quale sbocco obbligato della vita di fede il voto alla Dc».

A queste considerazioni Donat-Cattin replicava con un articolo poi riportato sul volume che raccoglie i commenti al testo del direttore della Civiltà Cattolica: «Non condivido la considerazione di padre Sorge, secondo la quale grandi masse popolari sono fuggite alla pratica religiosa per via della Dc. Lo scandalo del ventesimo secolo […] fu riconosciuto da un Pontefice prima che la Dc fosse». […]

Nel suo articolo che era comparso sul Sabato, Donat-Cattin così ricordava: «Una qualche, non profondissima differenza di transito dalla militanza cattolica alla militanza politica è propria della mia generazione, quella della Resistenza». […] «La mia generazione è passata appunto attraverso alcune mediazioni laiche: il volto grigio, autoritario, ostile del fascismo, anche se dall’ambito ecclesiastico venivano consigli a fare buon viso più che a cercare alternative, e il bagno crudo e vitale proprio della Resistenza». […]

Il leader della sinistra sociale Dc non pensava in modo diverso da Sorge su gran parte del contendere, anzi: «Il richiamo alla mediazione del sociale è richiamo alla laicità delle scelte – ricordava con parole che si ritrovavano anche nel testo di Sorge – alla pluralità delle possibili tendenze in rapporto alla pluralità della storia e degli interessi e della scala di alcuni valori». […]

Si chiedeva [criticando tuttavia le ipotesi di una fine dell’unità politica dei cattolici]: «La frammentazione e la diaspora nel tempo a cavallo del Concilio che cosa hanno generato?». […] «So di non farmi degli amici, scrivendolo: ma sono pronto a registrare tutto quello di originale, non paleo-marxista, non soreliano, non pre-sacrificale e perciò perfino di non pre-terroristico; di non marxista-leninista, di non derivante dalle cento scuole della Riforma o dei frammenti di soluzione culturale giunti fino in Europa; sono pronto, dobbiamo essere pronti e felici di prendere atto di quello che dal mondo cattolico dello spontaneismo pluralistico è stato generato di originale. Le mie limitate conoscenze mi dicono: poco».

Concludeva Donat-Cattin: «ci si è limitati allo scoprire il cristianesimo nelle diverse culture, con particolare accanimento in quelle che hanno presupposti di ateismo militante».”

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