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Giorgio Aimetti

Carlo Donat-Cattin
La vita e le idee di un democristiano scomodo

Ed. Rubbettino, Soveria Mannelli (CZ) 2021
540 pp.
Ean 9788849868777

Il ministro dei Lavoratori nell’Autunno caldo

Dai capitoli del libro che si riferiscono all’Autunno caldo

“Il 12 dicembre 1969 l’Italia precipitava nell’incubo della strategia della tensione. Era il giorno di Piazza Fontana nel quale la stagione dei contratti entrava in una dimensione tragicamente diversa. L’attentato che avrebbe inaugurato la serie terribile del terrorismo in Italia rappresentava con le sue tante vittime un punto di svolta: cambiava la storia del paese, imponeva alle parti sociali un differente atteggiamento reciproco, coincideva con il momento culminante della lotta sindacale. […]

Donat-Cattin, agli esordi nel ruolo di ministro, con le sue prime iniziative lasciava intendere di voler agire in modo differente dai predecessori. […]. A pochi giorni dall’inizio della stagione più calda della storia repubblicana aveva detto: «La fuga altissima di capitali ha incidenze superiori a quelle che potrebbe avere l’accettazione delle richieste dei metalmeccanici. Non è un bel sistema quello di sventolare la bandiera italiana per gli operai e quella svizzera per gli industriali». […]

Il ministero del Lavoro, ovviamente indebolito dal fatto che il governo era un monocolore che godeva del tiepido appoggio dei socialisti divisi dalla scissione del luglio 1969 e dei repubblicani, aveva dovuto calarsi in un ruolo del tutto nuovo.

Si trattava di tentare una mediazione che portasse a spostare i rapporti di forza nella fabbrica e nella società senza causare eccessivi danni al sistema produttivo. Per Donat-Cattin era stata una sfida stimolante. Le forze in campo dalla parte dei lavoratori avrebbero dovuto essere i sindacati, che potevano agire in modo unitario senza far sorgere sospetti di intese politiche con il Pci.

[…]

Il vecchio ministero del Lavoro si trovava per la prima volta al centro della vicenda politica del paese. Donat-Cattin ne avrebbe galvanizzato i dipendenti abituati fino a quel momento a interpretare un ruolo di serie B. Esso d’improvviso diventava il punto di riferimento dal quale il paese, sconvolto da proteste e disordini, avrebbe atteso la buona notizia che almeno la partita dei contratti si era conclusa.

Emanuele Stolfi intitolerà il suo libro sullo Statuto dei lavoratori, Da una parte sola. E questo sembrava davvero l’atteggiamento del ministro fin dal principio. […]

[Un esempio?]

Gianni Agnelli anni dopo avrebbe lamentato: «Il ministro del Lavoro di allora non concluse la trattativa con i metalmeccanici fino a quando io non acconsentii, dopo parecchie ore di resistenza, a riassumere in fabbrica un centinaio di operai che si erano resi responsabili di violenze. Ricordo che, ricattato da queste condizioni, accettai la riassunzione. E l’umiliazione non fu accettare, o subire, questa forma di ricatto, ma, tornato a Torino e presentatomi ai dirigenti della produzione delle fabbriche, comunicare loro che avevo ceduto e che dovevano riassumere questo centinaio di operai violenti. Quello fu l’inizio di dieci anni disastrosi di brutalità e di violenze in fabbrica, che venne corretto solo dopo più di tremila giorni».

[Netta e recisa la replica di Donat-Cattin:] «Quando Giovanni Agnelli asserisce che il suo atto più grave e sbagliato è stato quello di avere revocato 130/140 licenziamenti disciplinari durante la vertenza per il contratto dei metalmeccanici del 1969, offende se stesso. Egli accondiscese allora, per mia richiesta, ad un gesto tradizionale nelle vicende concrete che sanano continuamente i conflitti dei grandi interessi. Ma lo fece in un momento in cui era tenuto moralmente ad agire così: l’8 dicembre del ’69 si firmava il contratto per le Partecipazioni Statali, il 12 dicembre fu il giorno di Piazza Fontana, il 21 si firmò per i privati».

[…]

Il governo aveva fatto la sua parte, forse anche qualche cosa di più. E il presidente di Confindustria, Costa, non mancava di protestare per il ruolo assunto dal ministro […]: «La delegazione degli industriali metalmeccanici – scriveva Costa al premier Rumor – si accinge a firmare il contratto redatto sulla base della proposta avanzata dal ministro del Lavoro e non potrà fare altrimenti. Non è mia intenzione intrattenerla sulle conseguenze negative che il contratto avrà sullo sviluppo economico, sul valore della moneta, sulle possibilità del paese di risolvere problemi sociali ancora insoluti […]. Non vi è libertà sindacale quando il governo, a mezzo del ministro del Lavoro, interviene nella controversia dichiarando che non può essere imparziale […]. Quando viene meno un aspetto qualsiasi della libertà è la libertà, bene massimo e indivisibile, che viene pregiudicata».

Ricordava invece Toros [sottosegretario di Donat-Cattin e futuro ministro]: «Non ci fu un arbitrato. L’arbitrato non è previsto dalla legge, non c’è nella Costituzione: il ministro era però libero di convocare le parti, di fare proposte. Libere le parti di accettarle o no».”

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