Newsletter della Fondazione Carlo Donat-Cattin

Newsletter n. 17 - 3 settembre 2025
Newsletter Fondazione Donat-Cattin n. 17 - 3 settembre 2025

 

IN RICORDO DI CESARE NOSIGLIA 

Cesare Nosiglia, il vescovo degli ultimi nella Torino della crisi

La Fondazione Donat-Cattin si unisce al ricordo di mons. Cesare Nosiglia recentemente scomparso, attraverso le parole della presidente Mariapia Donat-Cattin.

In una bella intervista, condotta da Luca Rolandi e comparsa sulle pagine del «Corriere della Sera» subito dopo la sua rinuncia al seggio arcivescovile per raggiunti limiti di età, Nosiglia dichiarava:

«Cercare gli ultimi è il centro della fedeltà al Vangelo, il Signore lo ripete continuamente. Ma le cose si possono vedere anche in questo modo: se noi non promuoviamo con convinzione la dignità degli ultimi, se non costruiamo le condizioni perché tutti siano uomini e cittadini, è a noi che manca qualcosa, è la nostra vita che ne risulta limitata: perché il benessere materiale di pochi crea ingiustizia e squilibrio. È il bene comune il nostro obiettivo. Vale anche per Torino, ed è il senso che ho cercato di dare all’impegno mio personale e della Chiesa subalpina: impegnarsi per l’accoglienza dei senza dimora, degli stranieri e profughi, per la scolarizzazione dei bambini rom, per gli operai senza lavoro e così via è un modo per costruire giustizia e dunque migliorare anche la qualità della nostra vita».

Riprendeva sempre il tema delle “due città”: quella dei benestanti e quella dei diseredati, degli emarginati, degli operai in difficoltà.

Qualcuno oggi ha scritto che Mons. Nosiglia, figlio di operai, parlava come un sindacalista. Noi riteniamo che parlasse e agisse meglio di un sindacalista: nelle sue parole, nei suoi gesti, nelle sue azioni non c’era ombra di retorica, solo grande umanità e forza spirituale.

Quando, dopo l’esperienza vicentina, arrivò a Torino, presto si rese conto che quella non era più «la città del lavoro ma che esistevano due città: la città dei ricchi e quella nei guai, una che faceva sempre festa, e l’altra che era un esercito di poveri».

Eccolo quindi sempre al fianco dei lavoratori dell’Embraco, come a quelli della Fiat e di tante altre fabbriche in crisi; vicino ai familiari degli operai vittime di incidenti sul lavoro; accanto ai giovani disoccupati, agli immigrati, ai senza dimora, a tutte quelle realtà che reclamavano giustizia.

Nella Cattedrale, accanto alle autorità religiose e laiche, a rendergli omaggio quella Torino che aveva conosciuto il suo coraggio e che lo aveva sentito vicino come un padre, un fratello maggiore.

A lui, alla sua testimonianza, ci inchiniamo noi oggi, sperando che il suo esempio illumini la mente e i cuori di tutti i torinesi nella complessità e diversità dei ruoli ricoperti, affinché questa città rinasca nel segno dell’unità e della giustizia sociale.

 

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