Parte II – AICI “Italia è cultura. Le sfide degli anni ’20”

Come si evince chiaramente dalla Relazione introduttiva i lavori della Conferenza si articolano su due piani: uno di carattere specifico, l’altro di carattere generale. Il primo riguarda problemi concreti legati ai cambiamenti tecnologici in corso, alle eventuali opportunità presenti nel PNRR, ai problemi del lavoro culturale negli istituti associati, alla riserva del 40 per cento per il Mezzogiorno e le Isole, alla convenzione con il CNR, alla questione dell’iscrizione o meno al registro del Terzo settore ecc. Il secondo, le sfide che la drammaticità del presente e la crisi profonda in cui siamo immersi impongono e, dunque, la necessità di individuare, attraverso un’analisi attenta e razionale, nuovi paradigmi interpretativi che consentano di aprire varchi e strade nuovo per salvaguardare la libertà e la democrazia nelle nostre società.

L’intervento di Maria Iannotti, direttrice della Biblioteca nazionale “Vittorio Emanuele III”

 

Un programma molto denso: tre gli incontri plenari. Il 10 mattina la sessione inaugurale affronta il tema: Le fondazioni, le accademie e gli istituti culturali di fronte alle sfide del presente; l’11 mattina si svolgono due tavole rotonde rispettivamente dedicate a: Diffusione della cultura e coesione sociale; PNRR e cultura nel secondo anno di attività.

Quattro i workshop, purtroppo tutti contemporanei, ma tutti molto partecipati: PNRR e digitalizzazione del patrimonio: archivi, biblioteche e musei; Reti culturali, reti civiche e territorio; Cultura territorio e ambiente e Cultura e occupazione giovanile (nel corso del quale sono stati presentati i risultati dell’Indagine sul lavoro negli istituti culturali AICI contenente anche il Focus su questionario online e contributi).

Arduo davvero illustrare i contenuti salienti, gli stimoli più interessanti, le informazioni più utili emerse dai lavori di VII Conferenza Nazionale dell’AICI.

Un momento del convegno “Italia è Cultura. Le sfide degli anni ’20”

Mi limiterò pertanto a segnalare alcuni passaggi annotati degli interventi che hanno suscitato il maggiore interesse e che, più di altri, almeno secondo me, analizzando il presente guardano al futuro. Questo dovendomi basare esclusivamente sugli appunti presi con gradi diversi di diligenza nel corso dei lavori della Conferenza.

Paolo Baratta (Presidente dell’Accademia filarmonica romana), come sempre acuto e stimolante, intervenendo nel corso della sessione inaugurale, ci invita a non cadere mai nella routine; a stare all’erta domandandosi sempre a che cosa serviamo; a saper giocare d’anticipo; a concepire e governare autonomamente il proprio destino attraverso una “dinamica vitalità della gestione” capace di tenere insieme “cambiamento e stabilità”. La cosa più importante per un’istituzione culturale, infatti, non è tanto e solo produrre conoscenza, ma saper usare la conoscenza per il miglioramento della società civile; “saper produrre desideri di cultura”: e, in conclusione del suo breve ma densissimo intervento, propone la composizione di un “Lemmario delle parole che interessano gli Istituti culturali”, una sorta di antidoto ai termini abusati e alle banalizzazioni.

Sergio Scamuzzi (Università degli Studi di Torino), con la consueta precisione e con intelligente rigore di analisi in conclusione della prima tavola rotonda, pronuncia un intervento che sollecita nuove conoscenze e il cambiamento di molti paradigmi interpretativi ormai logori e inadeguati a comprendere i cambiamenti in atto nelle società occidentali.
“L’affermazione in Italia di un governo di estrema destra, paragonabile per molti aspetti, ad altre destre europee rappresenta una sfida per il lavoro culturale di istituti come quelli dell’Aici che elaborano memoria storica e attualità culturale in campo politico, religioso, scientifico, linguistico, territoriale”.
Quattro le sfide che abbiamo davanti rispetto alle quali va fatta chiarezza per riuscire ad affrontarle in maniera adeguata. La prima è “la conoscenza della cultura dell’estrema destra”, non solo italiana. L’antifascismo ha visto un nuovo avversario in questa cultura ma va “riformulato sui nuovi rischi per la democrazia e i diritti umani”. La seconda è la crisi irreversibile delle “culture neoliberale e ordoliberale” che hanno favorito “la crescita delle disuguaglianze, la globalizzazione finanziaria, le delocalizzazioni selvagge, motivando il disagio sociale e determinando lo spostamento a destra o verso l’indifferenza di tanti elettori”.
È la crisi delle culture della sinistra da quelle alternative, al liberalsocialismo e alla socialdemocrazia, fino al cattolicesimo sociale perché non hanno saputo contrastare in maniera adeguata le conseguenze della disuguaglianza e della globalizzazione perdendo così il consenso delle vittime di questi processi.
“Queste culture politiche, insieme con l’ambientalismo, devono essere rilette e reinterpretate”, se si vuole una società meno diseguale e con maggiore coesione sociale, e uno sviluppo sostenibile e inclusivo.
“La terza sfida è la crisi della società multiculturale”.
Mentre avanza a ritmo incalzante un “clima che alimenta una ridefinizione dell’Occidente (atlantico cristiano) contro il resto del mondo”, che va a mescolarsi con un “nuovo sovranismo antiglobalista e neotradizionalista” che utilizza “una versione magico-integralista della religione cattolica come bandiera”.
“La quarta sfida è l’anti-intellettualismo, l’anti-scienza, l’anti-tecnologia. Visioni appartenute storicamente alla cultura di estrema destra che si saldano, per una parte della popolazione, alla protesta sociale nimby-novax-notutto, al clima di pregiudizio e all’immaginario libertario che però odia e non rispetta gli altri, all’indifferenza per l’avanzante catastrofe ambientale, al naturalismo pretecnologico sulle biopolitiche”. In Italia queste idee si sommano a “forti disuguaglianze e povertà culturali che vedono una modestissima alfabetizzazione letteraria, scientifica, digitale di una buona parte della nostra popolazione, la cui lingua italiana corrente resta perciò limitata. Queste povertà rendono alle persone accessibili solo studi, lavori, consumi, anche quelli culturali e mediatici, molto semplici, ripetitivi, esecutivi”.
Tutto ciò investe in primis la scuola e il sistema dei media, ma è anche “una sfida per i nostri Istituti. La risposta richiede un loro rinnovato impegno alla diffusione della cultura con mezzi nuovi. Richiede anche la salvaguardia delle basi materiali della memoria, necessarie a elaborare vera innovazione e originalità, a evitare stanche ripetizioni. Preliminare a questo sforzo il tentativo di ricomporre in visioni ampie e coerenti i frantumi del senso comune disperso, diffuso nella popolazione e in parte delle élite anche prima di catalogarlo di sinistra, di destra o reazionario, fare cioè esattamente il lavoro dell’intellettuale come lo intendeva Antonio Gramsci e lo praticavano molti eponimi dei nostri Istituti”.

Adriano Gianola, Presidente Svimez
Esordisce affermando che “i divari sono aumentati enormemente in Italia e che siamo tornati agli anni Cinquanta”. Ma, continua, non ci deve preoccupare solo il divario fra il Nord e il Sud del nostro paese, perché oggi noi dobbiamo guardare all’Italia in rapporto all’Europa e dunque c’è anche un divario tra certe aree del Nord e il resto dell’Europa. E, anche se sembra paradossale, “il Piemonte può diventare Mezzogiorno in Europa”.
Oggi l’Europa ci finanzia per salvare “il sistema Italia nella sua interezza” e noi dobbiamo operare virtuosamente per superare i divari e salvare la coesione sociale. Se non raggiungiamo questi due obiettivi siamo destinati al “commissariamento”. Non solo, l’Italia nel Mediterraneo da tempo non è più protagonista.
Avere scelto Napoli per questa Conferenza è molto importante perché “Napoli è cultura e il patrimonio culturale del Mezzogiorno è all’incirca il 50% del patrimonio culturale italiano”.
“Il Mediterraneo è un quasi oceano nel quale s’incontrano Europa, Asia e Africa. La globalizzazione è qui”. Il mare Mediterraneo deve ritornare ad essere “un mezzo di connessione non una barriera. Genova e Trieste non devono sentirsi gli unici porti strategici italiani”. Napoli può avere un grande ruolo strategico data anche la sua posizione.
“Il momento oggi è insieme drammatico e magico. Noi italiani dobbiamo essere quelli che aprono l’Italia all’Europa. Anche rispetto alla Turchia dobbiamo riconquistare il nostro ruolo”.
C’è bisogno di una “grande operazione culturale per ridare all’Italia il ruolo che le spetta”. È in un quadro siffatto che gli Istituti culturali debbono fare la loro parte.

Vittorio Emanuele Parsi (Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano) procede per punti in maniera sistematica, incalzante a tratti appassionata.
“Stiamo assistendo a una forte accelerazione del tempo”. L’inflazione, che incide duramente sulle nostre vite, è destinata anche a durare. È un’inflazione diversa da quella degli anni ’70 del secolo scorso ma accelererà la riflessione economica alla ricerca di strumenti nuovi che consentano di superarla.
“Dopo quasi ottant’anni di pace, la guerra ha fatto la sua ricomparsa nel Vecchio continente. Era dal 1939 che nessuno Stato europeo ne invadeva un altro. Andremo incontro a un’epoca di ferro. La guerra è uno stupro e le sue conseguenze saranno molto pesanti”.
“Si è verificato un attacco ai principi della democrazia che informano anche le Istituzioni internazionali. Il canone del mondo era la democrazia”; l’attacco all’Ucraina da parte della Russia, dominata da Putin, ha prodotto la seguente idea sbagliata: le democrazie hanno fatto il loro tempo e le autocrazie funzionano meglio.
“Bisogna essere in grado di reagire velocemente di fronte all’imprevisto. E la democrazia consente di avere queste risorse. La democrazia può rendere civili anche le transizioni di potere. Siamo di fronte a grandi sfide”: il cambiamento climatico che va rallentato e mitigato; l’innovazione tecnologica che va governata; le disuguaglianze cresciute fortemente negli ultimi 30 anni che vanno combattute e ridotte significativamente. Questo perché nutrivamo molte illusioni sulla capacità del mercato di mitigarle. Mentre la strada da percorrere è un’altra e va ritrovata.
“Conoscere è distinguere” per arrivare a sintesi che non siano ‘”il mucchio selvaggio”.

La paura per la guerra è naturale ma non dobbiamo farci vincere da lei. “Bisogna fare uno sforzo di razionalità: pensare che esistono soluzioni di pacatezza, che esistono soluzioni possibili e soluzioni impossibili”. E pertanto bisogna battere l’isteria che impedisce di vedere chiaro.
“Il tempo corre, dobbiamo correre anche noi senza perdere mai la direzione e dobbiamo imparare che la navigazione si può fare anche con cattive condizioni meteorologiche, ma che bisogna attrezzarsi per non affondare”.

Giungo alle conclusioni: poche ed essenziali.
Esiste un terreno comune che accomuna tutti noi dell’AICI. È il terreno della democrazia, della libertà, della difesa dei diritti e del superamento delle disuguaglianze, del pluralismo culturale, dell’impegno per il dialogo fra diversi e per la coesione sociale. L’AICI, infatti, nel suo insieme, come ha efficacemente sintetizzato nel suo intervento, Rosa Maiello, presidente dell’Associazione nazionale Biblioteche, “è un modello di democrazia, un luogo di democrazia partecipativa”.
E poi dobbiamo ricordarci di mirare alto, anticipare il futuro, saper affrontare l’imprevisto, il cambiamento senza dimenticarci mai chi siamo e da dove veniamo perché se puntiamo semplicemente alla nostra sopravvivenza presto dovremo chiudere i battenti.
Anche noi come AICI e come singole Istituzioni dobbiamo saper navigare con il vento contrario e nella burrasca tenendo la barra a dritta per non perdere la direzione che abbiamo individuato e scelto.

Rimando a un’altra newsletter l’illustrazione del workshop cui ho partecipato. Essa richiede una esposizione meticolosa e attenta delle informazioni raccolte che possono essere utili alla nostra Fondazione come ad altre istituzioni culturali.

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