Lavoro ed economia. Un percorso fra le carte dell’archivio di Carlo Donat-Cattin

di Mariapia Donat-Cattin – 5 dicembre 2017

L’archivio di Carlo Donat-Cattin documenta la sua lunga vita pubblica per un arco cronologico che va dal 1942 al 1991, negli anni cruciali della prima Repubblica. Accoglie un ricco carteggio, appunti, relazioni, bozze e minute, quaderni pieni di note e osservazioni le più diverse, dalla dimensione pubblica a quella privata, moltissime elaborazioni di dati economici e statistici,  blocchi di materiali  preparatori e di studio che rivelano un metodo di lavoro insieme rigoroso e vulcanico e tanti ritagli di giornali pieni di annotazioni. Un insieme di carte pensate come strumento di lavoro mai come archivio.

Questo l’indice strutturale del fondo archivistico che corrisponde alle attività svolte e alle  cariche ricoperte da Carlo Donat-Cattin  nel corso del tempo cui vanno ad aggiungersi le carte personali, la corrispondenza e altre voci minori: attività sindacale, di partito, amministrativa, di governo, giornalistica.

Un primo progetto messo in campo qualche anno fa partiva dallo studio della genesi dello Statuto dei lavoratori, la legge 300 del 1970 “Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell’attività sindacale, nei luoghi di lavoro e norme di collocamento”

Questo  progetto ha avuto il suo sbocco più significativo nella pubblicazione del volume Quando l’operaio diventa cittadino. Statuto dei diritti dei lavoratori: una storia di diritti [Roma, 2016] costituito da un corposo saggio di Alessandro Parola e da una ricca appendice documentaria.

Una prima aggregazione tematica dell’inventario sotto il titolo “Carlo Donat-Cattin e i diritti dei lavoratori nelle carte d’archivio”, contenente anche la trascrizione semplice di alcuni documenti e di molte lettere, era stata messa a punto  già nel gennaio del 2014 da Valeria Mosca, l’archivista della Fondazione.

In coerenza con il “Programma di attività in materia di promozione dei beni e delle attività culturali 2015-2017” (DGR 116-1873/2015) con specifico riferimento agli archivi di personalità eminenti, la Fondazione  ha elaborato un altro progetto, oggi in avanzato stato di realizzazione, che focalizza la sua attenzione su due tematiche, lavoro ed economia, centrali  nell’attività e nel pensiero di Carlo Donat-Cattin. Intorno ad esse è stato costruito un percorso fra le carte, di grande rilievo.  Parte di questi documenti sono stati digitalizzati, commentati e contestualizzati.

Gli obiettivi che ci si è posti nell’intraprendere questo cammino possono essere sintetizzati cosi:

1. Sollecitare gli studiosi, specialmente i più giovani a inoltrarsi in piste di ricerca fin qui inedite e per nulla scontate nel segno di una ricostruzione e interpretazione della nostra storia recente libera da dannose omissioni e semplificazioni  interpretative.

2. Fornire spunti, – grazie anche alla digitalizzazione e alla consultazione libera di un cospicuo numero di  documenti, –  a un insegnamento critico e aggiornato della storia del secondo Novecento italiano ed europeo, nell’intento di risvegliare l’assopito interesse per questa disciplina delle nuove generazioni.

3. Offrire un luogo di informazione, servizio e dibattito che contribuisca alla crescita della consapevolezza civile.

Le righe che seguono, facendosi  guidare dalle parole e dalle riflessioni di Donat-Cattin, illustrano le ragioni di questa scelta.

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Il 28 settembre del  1947 sulle pagine di “Democrazia”, la rivista della Democrazia cristiana lombarda sulla quale pubblicò, tra il marzo e il dicembre del 1947 una decina di articoli, Carlo Donat-Cattin così si esprimeva .

Se la storia presente e futura, nel suo quadro sociale ed economico ha un aspetto essenziale, questo è dato dalla produzione industriale. La produzione industriale che scaturisce da collettività sempre più vaste, con impegno di lavoro, di strumenti, di iniziativa e di capitali in progressiva espansione. [..]. Di fronte all’avvento della civiltà industriale, noi abbiamo una giusta e sacrosanta preoccupazione salvare la persona umana che il capitalismo e lo statalismo produttivo frantumano,  il primo riducendone le attribuzioni economiche ai soli e pochi partecipanti della classe economica dominante e il secondo riducibile ai membri anch’essi ridottissimi di numero della classe politica dominante […]. Chi lavora nell’industria, specie nella grande industria – operaio, impiegato o tecnico – può vivere del respiro collettivo che promana dall’ambiente della sua attività. può viverne o esserne estasiato. Riesce a viverne ed a potenziare la sua stessa personalità  se di quel respiro intuisce la natura e il ritmo […]. Soffoca quando si  adatta a “far massa” pure quando si irrigidisce rivendicando assoluta indipendenza individuale in assurdo contrasto con la inarrestabile realtà.

Capitalismo e statalismo entrambi possono impedire lo sviluppo del lavoratore in quanto persona umana. Ecco la  preoccupazione che,  insieme a quella di contrastare l’egemonia comunista sui lavoratori delle grandi fabbriche, lo accompagnerà sempre. Insieme all’attenzione alla persona che non è solo teorica ma concreta, fattiva. In questo testo, però,  c’è qualcosa di più, c’è  un modo di guardare alla fabbrica e al lavoro nella fabbrica che appartiene a un mondo che ormai sembra lontano e che tuttavia emana ancora  un  fascino forte. Qui, il lavoro non è visto come pena, fatica, sacrificio, non è soltanto dovere o un mezzo necessario per sostenere la propria famiglia. Il lavoro, nel cuore pulsante della produzione industriale, ha valore in sé purché la dignità della persona umana sia preservata .  Possiamo trovare altri luoghi in cui in termini diversi, ma non per questo meno significativi, tale visione viene ripresa e approfondita. Questa non è di certo la visione prevalente nel mondo cattolico ai vari livelli ma nelle riflessioni di Carlo Donat-Cattin esiste ed è ben presente.  Gli stereotipi,  che  permangono  a lungo, sono altri come ben documenta Andrea Sangiovanni in Tute blu titolando significativamente il paragrafo a essi dedicato “Rosso e bianco: gli stereotipi delle culture politiche” [Roma, 2006, pp. 21-35]. E Carlo Donat-Cattin rappresenta davvero una visione distante da quella prevalente. Una visione che non è ancora stata studiata e valorizzata come meriterebbe.

All’epoca, siamo nel 1947, faceva parte dell’organigramma provinciale della Corrente sindacale cristiana, componente di minoranza all’interno del Cgil unitaria nata nel 1944 dal Patto di Roma. Poco più tardi  diventava Segretario provinciale della Libera Cgil e poi Segretario provinciale della Cisl, carica che avrebbe ricoperto sino al 1956.

Ancora prima però, durante il periodo resistenziale, quando era stato assunto all’Olivetti di Ivrea, il giovane Carlo aveva avuto modo di conoscere direttamente la fabbrica e gli operai.  Così  Gianfranco Morgando sottolinea la centralità di quella stagione: “Non so se sarebbe diventato il capo della Cisl [torinese] se non avesse vissuto questa esperienza. C’è un attenzione di Donat-Cattin già in quei tempi al problema sindacale. In un documento ciclostilato del ’44 (probabilmente un documento che veniva da fuori) si trovano delle annotazioni a margine sicuramente scritte da lui, sulla concezione cristiana del sindacato […]. Credo che maturi allora quello che è stato il suo grande assillo il rifiuto di accettare l’esclusiva egemonia del Partito Comunista sul movimento operaio.  [ Mondo cattolico, Chiesa e Resistenza nel Canavese, Ivrea, 1995, p.47 ].

L’esame accurato e attento delle fonti presenti nell’archivio fa luce su quanto qui solo accennato e consente di mettere in rilievo la continuità e la complessità di un pensiero in larga misura sconosciuto che parte da lontano e attraversa tutta la vita pubblica di Carlo Donat-Cattin.

Ponendo al centro il lavoro,- una  concezione del lavoro nient’affatto rigida che saprà cogliere le profonde trasformazioni dell’economia e della società post-industriale, – abbiamo rintracciato i fili che collegano quasi un cinquantennio di attività: nel Sindacato, in Parlamento, – anche attraverso l’impegno assiduo nelle commissioni, – al Governo. E siamo giunti a disegnare una prima mappa tematica articolata in una serie di temi e sottotemi ordinati cronologicamente. Alcuni salti cronologici non inficiano il disegno perché i temi più rilevanti riemergono a distanza di tempo in forma rinnovata e arricchita ma nella sostanza fedeli ai principi ispiratori e agli insegnamenti ricevuti negli anni giovanili.

Una continuità che emerge con forza quando, rispondendo all’accusa di avere contribuito al disastro dell’economia italiana, siamo nel 1980, Carlo Donat-Cattin dirà:

Noi tutti, ed io in particolare, veniamo da una scuola povera, ma seria. Ho imparato quanto so di dirigenza sindacale da un grande maestro, da Giuseppe Rapelli, che successe a Grandi nella segreteria della CGIL unitaria. E Rapelli, nel  ’45-46, 47, […] insegnava cose semplici e vere ai lavoratori, a noi: e in primo luogo che l’inflazione è la rapina dei poveri. “Fate attenzione”, diceva, “il portafoglio si gonfia di carta, si gonfia sempre di più ma la borsa della spesa della moglie o della madre diventa sempre più leggera”. Questo diceva Rapelli, questo abbiamo detto imparando da lui e, nell’immediato dopoguerra, siamo stati capiti dai lavoratori. Da allora non ho mai cambiato linguaggio, anche quando ho sostenuto con i miei amici, contro i deflazionisti, una politica di espansione, ma nell’equilibrio, nell’attenzione e nel rispetto delle regole dell’economia, della ricerca della produttività e dell’efficienza. Tra fischi ed applausi queste cose le ho ripetute ai “delegati di linea e di reparto” della Fiat nella tarda primavera del 1970, all’indomani dell’autunno caldo, quando,  venendo meno  agli impegni verbali per la tregua di un anno, si caricò l’onere derivante dai contratti nazionali, notevolmente positivi per i lavoratori e sopportabili per l’industria, con prematuri ulteriori carichi aziendali. [La mia Dc. Intervista a Donat-Cattin di Paolo Torresani, Firenze 1980 pp.67-68].

Un omaggio al maestro mai disconosciuto, nonostante la rottura avvenuta negli anni Cinquanta,  ma e soprattutto l’indicazione di una linea di continuità fra il Donat-Cattin sindacalista (1945-1956) e il Donat-Cattin ministro del Lavoro (agosto 1969-giugno 1972), nonché la sottolineatura del nesso inscindibile fra lavoro ed economia.

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