Presentazione

Gianfranco Morgando
(Presentazione del volume Dall’Appello ai liberi e forti al Congresso di Torino. Il Partito popolare italiano (1919-1923). A cura di Margherita Boffano, Edizioni Lavoro, 2023)

Don Sturzo fotografato al Congresso di Torino

Il Convegno, di cui pubblichiamo in questo volume le relazioni, è ormai lontano nel tempo, essendosi tenuto nel 2019 nell’ambito delle iniziative che la Fondazione Carlo Donat-Cattin ha dedica­to al Centenario della fondazione del Partito popolare italiano. La qualità dei contenuti, il grande interesse dei testi e l’autorevolez­za dei relatori ci hanno tuttavia persuasi a mantenere l’impegno che allora avevamo assunto, nella convinzione di dare un contri­buto non comune alla riflessione storiografica su una stagione «costituente» del cattolicesimo politico italiano. La circostanza poi che la pubblicazione veda la luce nell’anno del centesimo an­niversario del Congresso di Torino del Ppi rende attuale il nostro piccolo sforzo editoriale: l’assise del teatro Scribe dell’aprile 1923 è in qualche modo al centro del volume, per l’importanza che ebbe nella determinazione del profilo politico e culturale del Ppi negli anni drammatici del fascismo trionfante e per il peso del suo dibattito nelle vicende di quel periodo cruciale.

Non a caso, la relazione di Francesco Traniello muove dai due discorsi «torinesi» di Luigi Sturzo: quello pubblico tenuto il 20 dicembre del 1922 nella sala della Camera di commercio e quello congressuale del 12 aprile del 1923. Il filo che lega i due appun­tamenti è l’idea di un partito di programma, con una sua cultura politica, una struttura organizzativa e una linea programmatica. Un partito che trae linfa dal radicamento nell’associazionismo cattolico e nelle parrocchie, ma che rivendica l’aconfessionalità e l’autonomia come tratti distintivi e in qualche modo fondativi della propria presenza politica. In questa duplice caratterizzazio­ne sta tutta l’attualità e la modernità del lascito di Sturzo, che an­cora oggi costituisce un termine di confronto ineludibile nella ri­flessione sulla «questione» della presenza cattolica nella società italiana.

Al Congresso di Torino è dedicata in modo specifico la rela­zione di Bartolo Gariglio, che ne fa una vivida descrizione anche nei suoi aspetti meno noti: non solo i discorsi di Sturzo e di De Gasperi, ma anche le relazioni sui grandi temi della politica este­ra, della riforma costituzionale dello Stato, della politica del­l’emigrazione; il dibattito e gli interventi dei congressisti; le rea­zioni del numeroso pubblico e il clima acceso del confronto. Tut­to concorre a fare dell’assise torinese un momento cruciale nella vita del partito, che interrompe il lento scivolamento verso la convergenza con il fascismo che si era avviato con la partecipa­zione dei popolari al Governo Mussolini.

Dal Congresso emergono i paletti politici e programmatici nei confronti del fascismo (non a caso Mussolini definirà il discorso di Sturzo come «il discorso di un nemico») ma anche una accorta tattica per mantenere l’unità del partito come condizione per la prosecuzione della lotta politica: Sturzo, che ha impedito l’espul­sione della sinistra e ha fatto propria la sua analisi del fascismo, non consente l’isolamento del gruppo parlamentare e favorisce l’approvazione della mozione di De Gasperi che distingue tra «collaborazionismo» e «collaborazione», accettando e contem­poraneamente ponendo dei limiti alla collaborazione con il go­verno. Un atteggiamento di realismo, messo in luce da Nicola Antonetti nel capitolo successivo, che non reggerà tuttavia alla prova del voto sulla legge elettorale, segnando la definitiva rottu­ra del gruppo parlamentare.

Come mette in evidenza nella sua relazione Luigi Giorgi, la polizia segue con attenzione il Congresso di Torino e anche nelle informative di pubblica sicurezza emerge che l’assise costituisce un punto di svolta in quanto colloca definitivamente il Partito po­polare tra i nemici del governo. L’angolo di visuale offerto dalle carte riservate del ministero dell’Interno, conservate presso l’Archivio centrale dello Stato, è molto interessante. Consente di ri­percorrere la vicenda politica popolare nella percezione della rete degli informatori governativi sparsi sul territorio e di conoscere l’intensa attività di schedatura svolta nei confronti dei dirigenti del partito e i provvedimenti di polizia di limitazione della libertà personale adottati nei confronti di molti di loro.

La storia del movimento politico dei cattolici italiani si intrec­cia con le vicende del cattolicesimo politico europeo, caratteriz­zato da una pluralità di esperienze che hanno tratti comuni e dif­ferenze significative. La relazione di Giorgio Vecchio ripercorre in modo puntuale queste esperienze, fornendoci un quadro d’in­sieme di grande interesse. Nell’articolato panorama che emerge, la vicenda del Ppi assume un rilievo tutto particolare: il progetto popolare appare il più avanzato per la netta accettazione del siste­ma democratico e rappresentativo, per la distinzione dell’orga­nizzazione politica dalla struttura ecclesiale e per l’autonomia nei confronti della gerarchia. Il Ppi è stato un laboratorio in Euro­pa, travolto purtroppo, alla pari delle altre formazioni, dall’invo­luzione autoritaria delle società europee. Ma sulle esperienze di questo laboratorio si baserà il protagonismo dei cattolici nell’Eu­ropa del secondo dopoguerra.

Al Partito popolare, e in particolare al suo radicamento terri­toriale nella realtà piemontese, la Fondazione Carlo Donat-Cattin ha dedicato un’importante ricerca, pubblicata nel 2020 e incen­trata sulla formazione e sulle caratteristiche dei gruppi dirigenti locali del partito. Un punto di vista nuovo e di grande importanza che ha consentito di costruire una sorta di «dizionario» dei prota­gonisti che nelle città e nei paesi del Piemonte hanno innervato l’esperienza popolare. A questa ricerca è stata dedicata l’ultima relazione, affidata a uno dei suoi autori, Vittorio Rapetti. Nella concretezza dei nomi dei protagonisti e delle realtà organizzative e territoriali in cui hanno operato emergono i grandi temi che hanno caratterizzato l’esperienza del Ppi: il rapporto con il retro­terra ecclesiale, il ruolo della rete dell’associazionismo economi­co e sindacale, il rapporto con le altre forze politiche e l’atteggia­mento nei confronti del fascismo nascente. Emerge anche un interessante spaccato delle caratteristiche delle classi dirigenti locali: ruoli, professioni, estrazione sociale, crescente ruolo delle donne. Viene confermata la natura interclassista del Ppi ma an­che la sua tensione ideale e la modernità della sua visione cultu­rale e sociale.

I popolari hanno tenuto alta la bandiera della libertà nell’esi­lio, nell’opposizione al fascismo e infine nella partecipazione al­la Resistenza. Hanno riscattato le ambiguità e i trasformismi di tanta parte del mondo cattolico italiano. Lo hanno fatto perché, come testimoniano le pagine che pubblichiamo, erano un partito che affondava le proprie radici in una filosofia della storia e in una cultura politica. Un richiamo, nei tempi di pragmatismo che stiamo vivendo.

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