Un partito di popolo. Il Partito Popolare in Piemonte e la sua classe dirigente
A cura di Bartolo Gariglio.
(Studi e ricerche della Fondazione Carlo Donat-Cattin) Torino, Fondazione Carlo Donat-Cattin / Celid, 2020.
21,5 x 15,5 cm, 424 p. € 24. ISBN 978-8867891764

Recensione di Aurélien Zaragori, pubblicata su Revue d’histoire ecclésiastique, Volume 117, Issue 1-2 / 2022 , pp. 437-439, (pdf) tradotta dal francese a cura della Fondazione Carlo Donat-Cattin.

Bartolo Gariglio, specialista del cattolicesimo politico e del Piemonte e già autore, tra gli altri, di un riconosciuto [apprezzato] studio sullo sviluppo dei cattolici torinesi sotto il fascismo, cura qui un volume dedicato alla classe dirigente del Partito popolare italiano (PPI) in Piemonte. Come spiega nell’introduzione a carattere storiografico, se molteplici opere hanno già tracciato la storia istituzionale del PPI e dei suoi legami con la Chiesa, poca attenzione era stata finora posta alla base, ai militanti e, per quanto riguarda specificamente questo volume, ai quadri dirigenti del Partito.
L’approccio scelto è volutamente regionale – concentrandosi sul Piemonte, una regione al tempo industriale, che comprende diversi centri amministrativi e con una componente agricola caratterizzata da assetti proprietari diversi. All’interno di questo insieme, la sequenza scelta per ogni contributo oscilla tra la provincia e la diocesi – essendo la prima il quadro dell’organizzazione del Partito mentre la seconda permette di mettere in evidenza gli impulsi dati dalla Chiesa e i rapporti con la gerarchia locale. Dopo un primo capitolo su Torino (Cesare PANIZZA), vengono poi proposti studi sul Canavese (Alessandro RISSO), sulle diocesi di Acqui Terme, Alessandria, Casale Monferrato e Tortona (Vittorio RAPETTI), poi su Asti (Nicoletta FASANO), la provincia di Cuneo(Giorgio AIMETTI, Ernesto BILLO, Giovanni CORNAGLIA, Gianfranco MAGGI, Giampaolo TESTA), la diocesi di Novara (Alberto GEMELLI) et infine quella di Vercelli (Elena MANDRINO). L’opera si conclude con una serie di biografie dei quadri dirigenti più importanti tra quelli evocati. Per gli altri, quattro tavole – una per ogni provincia – consentono, a conclusione del volume, di avere una visione sinottica di una serie di informazioni – in particolare la professione, le cariche politiche esercitate, la partecipazione all’associazionismo cattolico, il divenire sotto il fascismo e oltre il 1945. Questa banca dati, opera colossale realizzata dai diversi contributori, potrà essere completata una volta messa in rete dalla Fondazione Carlo Donat-Cattin, che ha sostenuto questa ricerca.
La lettura dell’insieme dei contributi lascia due rimpianti. Il primo è dovuto alla trattazione dell’argomento, molto eterogenea da un contributo all’altro. Ciò potrebbe sembrare inevitabile, data la diversità delle aree considerate e le dinamiche del PPI nelle diverse parti del Piemonte: in tal modo l’ultimo capitolo sulla Diocesi di Vercelli deve tener conto dei dati parcellizzati, conseguenza di un limitato sviluppo del PPI. Più pregiudizievole è il fatto che alcuni capitoli, a partire dai due primi su Torino e il Canavese, siano sia narrativi sia incentrati sulla storia del PPI nella provincia o nella diocesi, intervallati da menzioni dei nomi dei dirigenti, con un’analisi piuttosto limitata. Altri, invece, sono pienamente coinvolti nello studio prosopografico: è il caso in particolare del contributo di Alberto Gemelli sulla diocesi di Novara, ma anche di quello svolto a più mani sulla provincia di Cuneo. Il secondo rammarico attiene all’assenza di una conclusione che riassuma i contributi dell’opera. Al di là dell’eterogeneità delle situazioni locali, emergono tratti comuni, che sarebbe stato utile sottolineare.
Il volume, infatti, è utile in più di un modo. In primo luogo, aiuta a capire meglio chi sono i primi membri e dirigenti del PPI a livello provinciale e locale. Si possono qui evidenziare due grandi matrici: da una parte, il movimento del cattolicesimo sociale, amplificato — se non lanciato — dalla Rerum Novarum e che trova in Italia uno sbocco politico nella breve esperienza della prima Democrazia Cristiana di Romolo Murri. Una parte non trascurabile dei primi dirigenti del PPI – in particolare nella provincia di Cuneo – sono dunque ex sostenitori di questa prima esperienza. La seconda è quella dell’associazionismo cattolico: molti dei primi membri del PPI erano precedentemente o contemporaneamente membri dell’Azione Cattolica – in particolare dei suoi organi diocesani, della Gioventù Cattolica, delle casse di risparmio o delle società di mutuo soccorso. Un’altra parte di essi è contemporaneamente coinvolta nella nascita del sindacalismo “bianco” della Confederazione Italiana dei Lavoratori. Dove preesisteva una di queste due condizioni, il PPI si è sviluppato molto più velocemente: così nelle province di Alessandria e di Cuneo. Tuttavia, questo quadro deve essere sfumato: in primo luogo perché non tutti gli iscritti alle varie associazioni cattoliche e all’Azione Cattolica si sono iscritti al Partito; in secondo luogo, perché tra i primi dirigenti del Ppi ci sono stati anche homines novi – anche se – come nota Alberto Gemelli, la loro carriera può essere stata più breve.
La sociologia dei primi dirigenti mostra un netto dominio della piccola e media borghesia: molti sono avvocati, ingegneri, dottori commercialisti, professori, medici, giornalisti. I membri dell’aristocrazia, al contrario, sono pochi e una parte non trascurabile di essi cessa rapidamente la collaborazione con il PPI o mantiene con esso rapporti complessi. I membri del clero svolgono generalmente un ruolo decisivo nell’estensione del partito, anche se il loro statuto spesso vieta loro di assumere funzioni dirigenziali. Molti di loro sono tuttavia segretari di sezione locale e don Cesare Stoppa ricopre anche la carica di segretario provinciale a Cuneo tra il 1919 e il 1924. A livello locale, il gruppo dei dirigenti si estende agli artigiani, ai contadini – questi ultimi sicuramente sottovalutati nelle informazioni fornite dalle fonti – e anche a pochi operai, soprattutto nei grandi centri industriali. A parte qualche tentativo di creare sezioni femminili, le donne sono assenti da questo quadro.
I vari contributi si soffermano anche sui risultati elettorali del PPI. Terza forza in Piemonte durante le elezioni alla Camera dei Deputati del 1919 e del 1921 (dietro ai liberali e ai socialisti), il PPI è comunque meglio posizionato nella provincia di Cuneo. Si trova invece in difficoltà contro i socialisti a Vercelli e nelle città di Torino e Alessandria. Le elezioni amministrative (provinciali e comunali) del 1920 sollevarono la questione delle alleanze: la posizione intransigente decisa a livello nazionale non fu sempre rispettata, come a Torino dove fu stipulata un’alleanza con i liberali. L’ascesa del fascismo, gli attentati commessi dagli squadristi, la modifica della legge elettorale per le elezioni del 1924 e l’atteggiamento sempre più riservato della Chiesa portarono alla progressiva dislocazione del Partito. Alcuni dirigenti aderiscono al movimento clericale-fascista mentre altri si uniscono alla Resistenza o sospendono la loro carriera politica fino al 1945. Sta qui l’ultimo contributo di questo libro: quello di far luce sulla formazione di un’intera generazione di fondatori ed eletti della Democrazia Cristiana dopo il 1945 attraverso gli organi del PPI.

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