Saluto a Giovanni Porcellana

21 settembre 2012

Giovanni non amava le commemorazioni lunghe e per evitare di farlo arrabbiare sarò sintetico. Come non amava le autocelebrazioni: così non ricorderò cose da lui fatte ma userò pochi esempi, che hanno profondamente condizionato il mio carattere, per indicare 4 insegnamenti che ci ha lasciato, che mi ha lasciato.

Conoscere Giovanni, per me, giovane consigliere comunale, rappresentò un’autentica fortuna. L’entusiasmo, la novità alla quale sei impreparato, i protocolli, i privilegi, possono far perdere l’orientamento a molti, se non sono accompagnati da una guida solida, affidabile, competente. Lo definivano un leone: odiato, temuto, rispettato, amato… uomo d’azione, operativo. Ma quando prendeva la parola in Sala Rossa, attirava l’attenzione e il silenzio di tutti, il rispetto anche di chi (non pensandola come lui) riconosceva nelle sue parole onestà intellettuale e giustizia sociale.

La prima cosa che mi diede da fare appena insediati nel maggio del 1997 (per lui fu il rientro a Torino da Moncalieri; per me la prima esperienza in Sala Rossa) fu quella di studiare lo Statuto della Città ed il suo regolamento. “Non puoi combattere le tue battaglie se non conosci le regole. Le tue ragioni potrebbero essere le migliori del mondo ma, le perderesti.” Affrontare preparati gli impegni, mai superficialmente: leggere, studiare ogni singolo atto, ogni delibera; non improvvisare, perché l’interesse pubblico pretende rigore. Come seconda cosa mi mandò, alla fine dell’estate dello stesso 1997, con una delegazione di scuole, nei luoghi della memoria a visitare i campi di concentramento nazisti: “per non dimenticare”, mi disse.

Ed infine, il suo testamento politico. Due precetti per evitare che il canto delle “sirene” potesse distrarmi dall’impegno amministrativo. Il primo: “mantieni i piedi per terra. Considera che tutti i privilegi (dal saluto del corpo di guardia all’accesso agli eventi, auto, telefoni, … oggi tutti aspetti che sono finiti sotto la lente delle cose superflue) sono legati al ruolo e non alla tua bella faccia. Non ti abituare, anzi impara a rinunciare, a farne a meno: perché quando non sarai più in Sala Rossa, nessuno si ricorderà più di te.”
Il secondo: “non abbandonare mai il tuo lavoro. Rappresenta la tua indipendenza, l’autonomia dalla politica. Nessuno ti potrà costringere a fare cose che non vuoi fare, se non sei ricattato dall’ansia della rielezione. Io ho lavorato facendo il sindaco (arrivavo in comune guidando la mia “128”, senza autista): questo mi è costato 4 bypass, ma sono rimasto un uomo libero!”. Tutto finirà: preparati fin da ora, per non penare domani.

Insegnamenti questi che non mi hanno aiutato nel “fare” la politica di oggi (perché anacronistici”) ma ai quali mi sono spesso ispirato nel tentativo di gestire al meglio le cose che mi sono state affidate.

Incredibile amministratore, cattolico devoto, attaccatissimo alla sua famiglia: un uomo giusto.

Torino, 19 settembre 2012
Marco Borgione

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